Nascita del volgare in Europa
Nel corso dell’Alto Medioevo (476 – 1000), la frammentazione dovuta ai
regni romano-barbarici aveva dato vita ad una società nuova ed individualizzata;
nascono nuove identità linguistiche, in particolare le lingue volgari parlate.
Il volgare è un latino povero, semplice, del popolo non colto: una sorta di dialetto
latino. Dal latino (diventato volgare) si originano le lingue romanze: italiano; francese d’oc (Sud della Francia, Provenza): è la lingua dei trovatori,
dei cantastorie, che sarà spazzata via con tutta la tradizione dalla crociata
contro gli Albigesi, promossa da Innocenzo III; francese d’oil (Nord della Francia); spagnolo castigliano e spagnolo catalano; portoghese; rumeno.
La società feudale, con la corte, aveva portato al modello di società cortese
(soprattutto in Francia), con una produzione letteraria interna legata all’amor
cortese. Infatti, essendo presenti molti uomini e una sola donna (“madonna”) avente il potere, essa diveniva oggetto-soggetto di amore, e ideale di bellezza.
L’amor cortese è costituito da storie di amori ideali (cioè sogni) per i
quali si vive, ben sapendo che la donna era sempre la moglie del feudatario. Inoltre, poiché il matrimonio era contrattualmente stipulato tra i genitori degli
sposi, l’amor cortese nasce per sopperire alla mancanza d’amore.
La letteratura è ciclica: c’è il ciclo bretone (basato su Re Artù) e quello
carolingio in lingua d’oil (Carlo Magno e i suoi paladini).
In Francia c’è la prima produzione letteraria considerevole. A queste si affianca la lirica dei trovatori, in lingua d’oc, un complesso linguaggio fatto di figure allegoriche, molto difficile a capirsi ma ispiratore di molti poeti successivi. C’erano poi i giullari, veicolo di diffusione importantissimo per il volgare, attraverso corti e
strade.
La produzione legata all’amor cortese e ai cavalieri serve a stimolare i valori
cristiani di lealtà, coraggio, etc., ai cavalieri che facevano della sola forza
la loro ragione di vita; tali opere erano, inoltre, motivo di allietamento delle
corti, per contrastare la perenne crudezza delle guerre.
Il volgare italiano nasce poco prima del 700, con alcuni documenti giuridici
o poetici come l’Indovinello veronese.
Fino al Basso Medioevo (1000 – 1492) il volgare non ha un vero e proprio
impiego, né uno spazio sociale in Italia. L’evoluzione delle città favorisce la vita
sociale di scambio, portando alla nascita progressiva del comune. Per questo,
la produzione letteraria muta, in funzione della situazione politica presente.
Scuole e stili del Basso Medioevo
Al Sud Italia, col dominio del Regno di Sicilia, nasce la Scuola Siciliana
alla corte di Federico II, amante della cultura. Tale Scuola si propone come
prosecuzione della letteratura provenzale, legata all’amor cortese.
Non è una scuola in senso stretto: si tratta, piuttosto, di persone appassionate
della scrittura, ma non scrittori (sono notai, funzionari, consiglieri…). Tra
questi c’è Pier delle Vigne, consigliere di Federico II, lo stesso Federico II appartiene alla Scuola.
Tutti partecipano a gare di poesia.
L’importanza della Scuola Siciliana è notevole: assimila le più avanzate esperienze liriche europee; l’esperienza siciliana si trapianta in Toscana e darà vita al Dolce Stil Novo; si origina un volgare letterario di alto livello, si usano provenzalismi e latinismi; si innova la poesia, inventando un certo numero di nuove strutture metriche.
Nei comuni, sviluppatisi in Toscana nello stesso periodo, nasce la Scuola
Toscana. La struttura è molto diversa dalla Scuola Siciliana, non appartenendo
all’ambito di una corte. Il volgare toscano è illustre, con influssi latini e siciliani.
Il massimo rappresentante è Guittone d’Arezzo.
Un’ulteriore evoluzione è il Dolce Stil Novo il cui caposcuola è Guido Guinizzelli, egli è autore della contenente i concetti principali dello stilnovo.
Questo stile è formato da un gruppo di amici:
– appartengono alla società comunale;
– sono impegnati politicamente;
– “non esiste nobiltà di nascita, ma di cuore”: la vera nobiltà è quella
d’animo e di ideali (grande innovazione e riforma, per l’epoca);
– “la condizione per cui nasca un vero amore è un cuore nobile .
Non si usa, però, la parola “nobile”, ma gentile. Gli amici avranno, talvolta,
stili lievemente diversi: Guido Cavalcanti, vive l’amore come dramma, dolore; Dante (il cui stile è inimitabile) da stilnovista diventa, col tempo, semplicemente
Dante Alighieri, con uno stile proprio.
La donna è una figura divina, scesa in terra per dimostrare l’esistenza di un miracolo.
Dante, massimo esponente, considera come caratteristica essenziale del Dolce Stil Novo l’incapacità di comprendere a fondo il vero significato dell’amore in tutte le sue sfumature.
Guido Cavalcanti (1250 – 1300)
Tra gli autori più caratteristici del Dolce Stil Novo c’è Guido Cavalcanti.
Proviene da una delle più potenti casate della Toscana, e per questo è
impegnato politicamente come guelfo bianco. È amico di Dante Alighieri, ma sarà da lui mandato in esilio per motivi politici (nel 1300) quando Dante è priore delle arti e, in città, scoppiano degli scontri tra guelfi bianchi e neri, causati anche dal suo tentativo di uccidere Corso Donati. Gli esiliati sono i più violenti delle due fazioni; per Cavalcanti è previsto un breve esilio, poi rientra a Firenze, ma vi muore poco tempo dopo di malaria.
La fazione bianca fa capo alla famiglia Cerchi: sono legati agli antichi valori di società, meno mercantile. Non accettano il legame troppo stretto con il denaro, fonte di barbarie e decadimento sociale, la mancanza di solidarietà, l’ingiustizia.
I guelfi neri, legati alla famiglia Donati, si oppongono ai bianchi. La peculiarità di Cavalcanti, come uno dei massimi stilnovisti, ha origine nel suo carattere, ombroso, iroso, difficile. La sua poesia è eccessivamente filosofica e razionale, di difficile comprensione; il suo carattere si ripercuote sulla poesia (circa 52 componimenti poetici). Anche trattando di amore si discosta dai canoni dello Stil Novo: – talvolta segue i canoni formali;
– spesso emergono dramma, tormento, dolore, paura di abbandono.
La poesia di Cavalcanti si pone su un piano molto più complesso e spirituale; con frequenza si trova nell’impossibilità di descrivere per il dolore che provoca anche il solo pensare all’oggetto del componimento.
Letteratura comico-realistica
Si intende per letteratura comico-realistica tutta la produzione letteraria,
contemporanea allo Stil Novo, basata su un’ottica della realtà completamente
diversa. Mentre gli stilnovisti, sull’esempio francese, esaltavano le virtù astratte
delle dame di corte (donna angelicata), questi letterati si divertivano a rappresentare
la realtà com’era, concentrando la loro attenzione sulla vita reale e talvolta accompagnata
da una spiccata ironia. Anche la situazione politica diventa oggetto dell’ironia dei comico-realisti.
La donna, in questa concezione reale, non era certo un angelo titolare
dell’amore più puro, ma anzi un essere vivente con tutti i difetti possibili e immaginabili.
Lo sviluppo di questo stile è legato soprattutto agli ambienti goliardici. La
goliardia si sviluppa in questo periodo nelle comunità universitarie, nelle quali
gli studenti trascorrevano il tempo divertendosi, bevendo e giocando.
Il più famoso rappresentante del movimento, Cecco Angiolieri, trasse ispirazione
proprio dal gioco per scrivere il sonetto Tre cose solamente m’ènno in
grado, nel quale esprime la sua preferenza per tre soli elementi della vita: la
donna, la taverna (il bere) e il gioco dei dadi. Non potendo permettersele, inveisce
contro il padre tirchio tanto da volerlo morto. L’altro famoso sonetto S’i’ fosse fuoco, ardereï ‘l mondo mostra bene,invece, la diversa visione della donna: per sé vorrebbe solo le belle, lasciando
le zoppe agli altri. Anche qui esiste il contrasto interfamiliare per il denaro (con ulteriore desiderio di morte dei genitori), mentre accanto alla beffardaggine nello scrivere traspare una vena pessimistica nella visione della realtà.
Dante Alighieri (1265 – 1321)
Universalmente riconosciuto come uno dei massimi poeti di sempre, Dante
Alighieri è il massimo rappresentante del Dolce Stil Novo: è lui a definirlo con
tale nome per la prima volta, nel canto XXIV del suo Purgatorio.
Proveniente da una famiglia della piccola nobiltà fiorentina, Dante cresce
studiando la cultura classica, in modo particolare il latino e Virgilio (non poté
studiare mai il greco, suo grande rimpianto). Nel 1277 le famiglie Alighieri e
Donati (potente casato di guelfi neri) stipulano un contratto di matrimonio per
Dante e Gemma, che si sposano.
Purtroppo, nel 1275, avviene il primo incontro di Dante con Beatrice, la
donna che lo ispira e che ama segretamente. Il secondo incontro è nel 1283 (dopo
che il poeta ha combattuto a Campaldino, nel 1281, con i feditori a cavallo
contro i ghibellini): ne nasce una storia sentimentale e spirituale che segna Dante,
poiché Beatrice diventa la musa ispiratrice dell’amor cortese e spirituale per
Dante. Morendo presto Beatrice, Dante sconvolto si ritira nel convento di Santa
Croce a Firenze fino al 1290: studia San Tommaso, Cicerone e Orazio, legge e
traduce Virgilio. Qui scrive la Vita nuova, opera dedicata a Beatrice, una specie
di diario della storia amorosa tra Dante e la donna fino alla sua morte e alla
successiva rigenerazione del poeta.
Lo studio di San Tommaso è fondamentale nell’opera di Dante. La massima
“si crede per capire, si capisce per credere” è seguita alla lettera dal poeta,
anche in base alla scala medioevale che poneva la teologia in posizione superiore
rispetto alla filosofia (ancella della teologia): quindi dalla teologia (dalla fede)
discende tutto. Non c’è ragione senza fede e non c’è fede senza ragione.
L’intelligenza è il mezzo per disporre del libero arbitrio, ed è quindi il dono di
Dio per il quale l’uomo è l’essere più perfetto dell’universo: il libero arbitrio,
infatti, è alla base della religione cristiana. Dante, credente, è il primo a battersi
per un mondo meno legato al denaro, al commercio (modello no-global).
Dante è anche uomo impegnato politicamente e socialmente; è un attivista
nella lega guelfa. Quando nel 1294 riprende la vita politica attiva, è uno dei
massimi rappresentanti dei guelfi bianchi, difensori della libertà di Firenze dagli
interessi, della giustizia e dei sani principi morali, che combattevano per una
Firenze in condizione corretta. Dante, al proposito, sognava una città piccola,
col solo primo giro di mura: l’inglobamento del contado circostante portava, secondo
lui, imbarbarimento e cambiamento dei buoni costumi.
Dopo l’iscrizione all’arte dei Medici e Speziali (droghieri), ne diventa
consigliere. Quando diventa priore delle arti, si trova nel periodo dei contrasti
tra i guelfi bianchi (capeggiati dalla famiglia Cerchi, e ai quali appartiene) e i
guelfi neri (capeggiati dalla famiglia Donati, cui appartiene la moglie Gemma).
Per questo, deve esiliare i personaggi più pericolosi delle due parti (tra cui
l’amico Cavalcanti). Accade che:
– papa Celestino V, alla fine del secolo 1200, abdica per mancanza di carattere
nell’affrontare i problemi papali non più spirituali, ma politici;
– viene eletto papa Bonifacio VIII, che manda truppe in aiuto dei guelfi
neri; Dante, che si trova in viaggio, è colpito da condanna a morte in contumacia,
così come i suoi famigliari, e gli sono sequestrati i beni di famiglia (1302 –
1303);
– Dante si rifugia in città diverse, dalla Romagna al Veneto, tra le quali
Forlì; mentre si trova in esilio comincia la stesura della Divina Commedia.
Più volte Dante tenta di affrontare il problema politico italiano, sia nelle
sue opere sia avendo contatti con i potenti dell’epoca. Giudica l’amico Cangrande
Della Scala, signore di Verona, “possibile monarca unico d’Italia” (se
l’Italia fosse un’unica monarchia). Affronta la situazione delle zone in cui è esiliato
in alcuni canti dell’Inferno (p.es. la situazione della Romagna, quella di
Firenze).
Nei primi anni dell’esilio tenta anche di tornare a Firenze, perfino unendosi
ad alcuni ghibellini già esiliati. Non riuscendoci, decide di fare “parte per se
stesso” e di non tornare più a Firenze. In questo periodo scrive i suoi trattati: il
De vulgari eloquentia sulla lingua volgare e sul suo uso, il De monarchia sui
problemi tra papato e impero, il Convivio per la formazione culturale
dell’uomo. Le Rime sciolte sono poesie dedicate ad amici, anche stilnovisti.
Per proseguire la sua opera politica, Dante tenta di farsi ricevere
dall’imperatore Enrico VII, sceso in Italia e visto come salvatore della pace.
Non riesce a vederlo: l’imperatore muore durante il suo viaggio.
Nel 1315 Firenze proclama un’amnistia, che prevede la cancellazione della
pena per svariati reati, tra i quali quelli di Dante, che può dunque tornare a casa.
Rifiutandosi di tornare, fu decretata, per la seconda volta, la sua condanna a
morte. Nel 1315 muore a Ravenna, presso la famiglia dei Da Polenta, all’età di
56 anni.
Vita nuova
Si tratta di una serie di liriche in volgare, con dei capitoli in prosa in latino
posti come spiegazione alle poesie. Lo sfondo è fondamentalmente quello
dell’incontro tra Dante e Beatrice, quando il poeta aveva 9 e 18 anni. Centrale è
il tema del saluto, nel doppio concetto stilnovistico di “saluto” e di “salvezza
dell’animo”.
Temendo che la gente possa sparlare di Beatrice, Dante finge di amare due
donne dello schermo, intendendo per “schermo” quello presente tra realtà e fantasia.
Beatrice, però, toglie il saluto a Dante. Nelle rime in lode (di Beatrice)
spiega cosa è successo e cosa ha provato questo processo.
Quando Beatrice muore, Dante decide di non scrivere più finché non fosse
stato in grado di comporre “cose nuove” su Beatrice (cioè il Paradiso, terza
cantica della Commedia, quella più spirituale, simbolo di salvezza).
La Vita nuova, di base, è un diario senza riferimenti: tutto è riportato mediante
trasfigurazioni simboliche e spirituali, i riferimenti sono sfuggenti e ci si
concentra sui fatti. Dante gioca coi numeri, e in particolare col 3 e i suoi multipli
(numero perfetto, che si ritrova frequente anche nella Commedia). La numerologia
era vista come scienza perfetta già a partire da Pitagora (filosofo-matematico);
si attribuiva un valore simbolico e quasi divino ai numeri, anche a
causa di legami con la Bibbia.
Convivio
È un trattato in volgare sulla filosofia; la scelta del volgare deve far riflettere
perché è fatta al fine che tutti possano leggere il Convivio per imparare la
filosofia.
Nel proposito iniziale di Dante i libri dovevano essere 15 ma, avendo iniziato la Commedia (che gli serve per spiegare le sue intenzioni), ne scrive solo 4, in esilio.
Il primo trattato è proemiale: un incontro di sapienti che banchettano con
la cultura.
Il secondo trattato è il commento di 3 canzoni (sull’ordine dell’universo, e
introduttive ai trattati seguenti). Da questo libro si ricava l’interpretazione di
un testo letterario che nello studio di Dante e della Commedia è fondamentale.
I significati di un testo possono essere:
– letterale;
– allegorico (nascosto dietro la lettera);
– morale (insegnamento in funzione o religiosa o politica);
– anagogico (insegnamento spirituale, metafisico, p.es. dalla lettura di un
testo sacro).
Il terzo trattato è incentrato sulla perfezione dell’uomo e dell’universo. La
concezione geografica del Basso Medioevo prevedeva che la Terra fosse un
cerchio piatto, diviso in un emisfero superiore (boreale o delle terre) abitato e
in uno inferiore (australe o delle acque) in cui sono presenti solo oceani. Nel
vertice superiore c’è Gerusalemme, in quello inferiore la montagna del Purgatorio
(con in cima il Paradiso Terrestre), in quello sinistro le Colonne d’Ercole e
in quello destro la foce del fiume Gange (i due limiti del mondo conosciuto). Al
centro del disco è presente Lucifero, che si trova sul fondo di un’enorme voragine
(l’Inferno) creata dalla sua caduta sulla Terra sotto Gerusalemme (aveva
osato credersi più grande di Dio).
Attorno alla Terra si trovano 9 cieli concentrici e il cerchio delle stelle fisse;
tutto è contenuto dentro l’Empireo, che corrisponde al Paradiso e a Dio.
L’Universo è perfetto perché incorruttibile e racchiuso in Dio.
Il quarto trattato si riferisce alla vera nobiltà, che non è quella di sangue,
ma quella spirituale (concetto base dell’amor cortese).
Attorno alla Terra si trovano 9 cieli concentrici e il cerchio delle stelle fisse;
tutto è contenuto dentro l’Empireo, che corrisponde al Paradiso e a Dio.
L’Universo è perfetto perché incorruttibile e racchiuso in Dio.
Il quarto trattato si riferisce alla vera nobiltà, che non è quella di sangue,
ma quella spirituale (concetto base dell’amor cortese).
De monarchia
Già dalla lingua in cui è scritto (il latino) si capisce che questo è un trattato
politico riservato agli esperti, e non di divulgazione. Si intende monarchia
come “gestione politica dell’impero”: analizzando il rapporto tra papa e imperatore,
Dante ritiene di dover delimitare i campi di azione dei poteri delle due
massime autorità (cioè i loro ruoli e competenze, senza prevaricazioni).
L’opera si compone di 3 libri.
Il primo libro è una storia dell’impero e del perché debba essere presente
in Italia. L’importanza del potere imperiale (inteso come personalità attente ai
bisogni della gente) è tale da essere necessaria per portare giustizia e ordine.
Il terzo libro è riservato ai rapporti tra papa e imperatore: due potenze indipendenti,
ma l’imperatore deve rispetto al pontefice.
De vulgari eloquentia
Questo trattato (in latino perché non divulgativo) è scritto da Dante per
dimostrare che il volgare italiano è lingua paritaria al latino, e deve essere utilizzata
in quanto tale. La volontà del poeta era di scrivere 4 libri, ma ne completa
solo 1, lasciandone il secondo a metà (con tanto di frase in sospeso).
Il primo libro è dedicato alla distinzione tra lingua madre (imparata da
bambino) e grammatica. La distinzione sta tra la lingua parlata e quella studiata:
la lingua madre è parlata, ma non è conosciuta se non si studia a scuola.
Un’ulteriore diversità risiede tra la lingua parlata spontaneamente e la lingua
scritta. Lo scopo di fondo dell’analisi dantesca è che, essendo il volgare appena
nato, necessita di essere conosciuto nella sua struttura.
Per far ciò, è riportata la storia dell’origine della lingua e l’analisi dai testi
sacri: all’inizio (dice la Bibbia) tutti parlavano l’ebraico, poi fu costruita la torre
di Babele e si ebbero tante lingue diverse. Dopo aver giustificato la differenziazione
in lingue e aver analizzato quelle extraeuropee, si sofferma sui tre ceppi
linguistici europei:
– lingua d’oc (provenzale)
– lingua d’oil (francese del nord)
– lingua del sì (italiano)
Dante si sofferma su di loro perché titolari di produzioni letterarie.
Riguardo il volgare, ne dà tre definizioni:
– aulico: elegante, raffinato, degno di essere parlato e ascoltato a corte;
– cardinale: cardine della produzione dei letterati (alludendo a quelli come
lui, in grado di produrre) presso una corte cui danno lustro;
– curiale: dovrebbe essere la lingua parlata presso la corte d’Italia, se ci
fosse.
Anche attraverso queste caratteristiche, la lingua italiana identifica l’Italia
in Europa, così come la sua cultura e letteratura.
L’analisi di Dante prosegue con lo studio dei tipi di stile letterari:
– la tragedia è la forma più importante, che necessita di un linguaggio superiore
e impegnato, caratterizzata da un inizio positivo e una fine drammaticissima;
– la commedia necessita di uno stile mediocre, inferiore rispetto alla tragedia,
poiché da un inizio negativo si giunge a un finale positivo; il linguaggio
è più comune, meno difficile;
– l’elegia è la forma poetica sulla situazione psicologica di infelicità, e il
suo linguaggio deve essere adeguato alla materia che deve cantare (cioè tristezza
e malinconia).
Divina Commedia
È l’opera di Dante, quella che lo rende immortale. Vanno fatte alcune
premesse importanti per non cadere in inganno:
– all’epoca non c’era differenza tra morale e politica: così il reo è considerato
anche peccatore, e viceversa;
– Dante era convinto che il mondo fosse corrotto perché ci si era gettati alla
ricerca del potere economico, quindi serviva un impero universale portatore
di giustizia: “l’umanità è afflitta da cupidigia”, ovvero da sete di denaro e potere,
chi più ha più vuole.
L’inizio della prima cantica è probabilmente scritta in Firenze, ma non è
certa la data d’inizio. Sicuramente impiega numerosi anni per scrivere l’intera
opera, praticamente tutta in esilio.
Con la comoedia (alla latina) Dante vuole un’opera in grado di far uscire
gli uomini dal buio del peccato e della cupidigia, attraverso la consapevolezza
del male. Per questo, sfrutta l’idea del viaggio nell’oltretomba, attinta dalla tradizione
classica, secondo la quale il passaggio dal buio alla luce rappresenta allegoricamente
il transito dal peccato alla salvezza dell’anima. Esempi classici
sono:
– nell’Eneide, Enea scende agli inferi per interrogare l’ombra del padre
(tradizione pagana);
– San Paolo scendeva agli inferi per tornare sulla Terra (credenza cristiana).
Nel Medioevo il male era personificato nel Diavolo (dal greco “colui che
inganna”), angelo ribelle (Lucifero) cacciato da Dio per superbia, in quanto voleva
essere come il Supremo, e posto nell’Inferno, del quale è signore. La purificazione
dantesca deve arrivare attraverso un viaggio attraverso la consapevolezza
del male, e dunque anche attraverso l’Inferno; si deve rifiutare il male per
arrivare al bene, attuando dunque una libera scelta dettata dall’intelligenza umana
(libero arbitrio). “Per salvarsi occorre conoscere l’errore ed evitarlo”.
Gli insegnamenti ricavabili dal percorso sono di variegate tipologie:
– morali-religiosi;
– filosofici-teorici;
– storico-politici.
Autore, protagonista e giudice del viaggio è Dante, che liberamente colloca
e giudica i personaggi secondo diversi criteri. Nella struttura dell’opera è ricorrente
il numero 3 e un frequente ricorso alla numerologia.
La Commedia si snoda attraverso 3 cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso
(che sono poi i tre libri di cui si compone l’opera). Ciascuna cantica consta
di 33 canti, più un ulteriore canto posto, come proemio all’inizio dell’Inferno,
in cui è spiegata la ragione del viaggio. Tutti i canti sono in terzine. Il canto VI
di ogni cantica è specificamente politico, cioè tratta argomenti di carattere politico:
– nell’Inferno si parla di Firenze;
– nel Purgatorio si affronta la situazione italiana;
– nel Paradiso si tratta dell’Impero.
Sono comunque frequenti i riferimenti politici e storici, nel corso della
narrazione.
I luoghi sono descritti secondo la cosmologia tolemaica, già illustrata da
Dante nel Convivio:
-
tutto deriva e ritorna a Dio, nella cui mente è contenuto l’Universo;
-
– i cieli sono incorruttibili e governati ciascuno da una presenza angelica;
– l’Inferno è stato creato dalla caduta di Lucifero che, sprofondando
dall’Empireo, ha creato una voragine col vertice al centro della Terra;
– il Purgatorio è un cono montagnoso su un’isola nell’emisfero delle acque;
– in cima al Purgatorio c’è il Paradiso, con 9 cieli rappresentanti i pianeti
(tra cui c’è il Sole) e il cielo delle stelle fisse.
Le guide di Dante sono:
– Virgilio (simbolo dell’intelligenza umana) nell’Inferno e nel Purgatorio;
Dante lo incontra nel I canto dell’Inferno;
– Beatrice (simbolo di grazia, purificazione, beatificazione) nel Paradiso.
Spesso Dante ricorre a personaggi mitologici nella narrazione, per rappresentare
caratteristiche dell’uomo, soprattutto nell’Inferno. Questo rientra nel
plurilinguismo di Dante, che fa uso di molti stili diversi a seconda del contesto
in cui si trova.
Nell’Inferno si trovano i peccatori, dannati in eterno. All’Inferno non esiste
tempo, spazio, luce, suono (si sentono solo lamenti e grida): mancano gli elementi
fisici. I peccati sono divisi in 3 categorie:
– incontinenza: uso smodato di un bene lecito;
– violenza;
– frode.
Tra gli incontinenti troviamo i golosi e i lussuriosi (coloro che si fanno
trascinare dai sensi). I violenti sono ulteriormente suddivisi:
– violenti contro gli altri (ladri, omicidi);
– violenti contro se stessi (suicidi);
– violenti contro Dio e contro natura (bestemmiatori, sodomiti, omosessuali,
usurai).
Anche i fraudolenti sono ripartiti in base all’oggetto di frode:
– contro chi non si fida (traditori del nemico, come Ulisse);
– contro chi si fida (traditori della patria, dei benefattori, dei parenti).
Tutti i peccati sono uguali e i peccatori sono ugualmente dannati; i peccati
sono considerati secondo la concezione religiosa dei 10 comandamenti.
La punizione è inflitta da Dante secondo la legge del contrappasso: la pena
è o abissalmente contraria o totalmente uguale al comportamento tenuto in
vita. Per esempio, i suicidi (torturatori del proprio corpo) sono tramutati in arbusti
nodosi sensibili al dolore, provocato dalle arpie che ne strappano i rami. I
golosi, al contrario, sono immersi nel fango, tormentati da pioggia e controllati
dal cane Cerbero, che li tormenta coi suoi latrati (questa locazione puzzolente è,
figurativamente, un porcile).
Prima della voragine infernale è posto un antiinferno, nel quale sono collocati
gli ignavi (chi non esercita il libero arbitrio), che devono correre dietro
ad una bandiera (che simboleggia l’obiettivo, la scelta).
Il I cerchio è il limbo, nel quale si trovano i bambini morti prima del battesimo
e gli adulti vissuti, in modo virtuoso, prima di Cristo. La “pena” cui sono
sottoposti è il desiderio di vedere la luce di Dio.
Il Purgatorio è radicalmente opposto all’Inferno. L’idea del Purgatorio
nasce nell’Alto Medioevo, legata alla concezione (di alcuni cardinali) del perdono
derivante dal pentimento. Il Purgatorio è così luogo di espiazione e purificazione,
dove scontare la penitenza prima di poter accedere al Paradiso. Si tratta, in fondo, di un luogo di transizione, in cui i penitenti (secondo i vizi capitali)
devono percorrere tutta l’altitudine della montagna per entrare nell’Empireo.
Il fatto che si tratti di un luogo transitorio concorre alla reintroduzione degli
elementi fisici terreni:
– spazio: i penitenti devono percorrere tutto il Purgatorio, dalla spiaggia
all’Empireo, sempre in movimento;
– luce: simbolo di purificazione, più intensa alle altitudini maggiori;
– tempo: la penitenza non è eterna;
– suono: non più grida, ma canto e preghiere.
Sono assenti i mostri infernali; domina l’amicizia tra i penitenti.
Dante cerca di dimostrare come tutto dipenda da Dio e il suo giudizio sia
diverso da quello dell’uomo: si trovano personaggi che, secondo l’idea comune,
dovrebbero essere all’Inferno, mentre è Dio a decidere la loro collocazione.
Tutti i penitenti, indistintamente, chiederanno a Dante di chiedere ai propri parenti
di pregare per loro, poiché le preghiere accelerano il processo di purificazione
delle anime.
A guardia del Purgatorio è posto Catone uticense, personaggio della Roma
antica che si uccise per non diventare succube del dominio di Giulio Cesare.
Egli rappresenta chi cerca di realizzare il proprio ideale e, in nome della libertà,
preferisce la morte (libertà assoluta).
Francesco Petrarca (1304 – 1374)
Francesco Petrarca nasce ad Arezzo il 20 luglio del 1304. Il padre, notaio
guelfo bianco, è amico di Dante Alighieri; sarà poi trasferito alla corte di Avignone.
Petrarca trascorre così gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza in
Francia, dove compie i primi studi. In seguito è a Bologna per studiare giurisprudenza,
nonostante l’amore per i classici: per questo, entra in un Ordine Minore,
così da avere uno stipendio senza dover occuparsi obbligatoriamente delle
anime altrui.
Petrarca, al contrario di Dante uomo del comune, si proietta verso il futuro,
con caratteristiche dell’Umanesimo e del Rinascimento. È intellettuale di
corte, ama la vita lussuosa; è protetto dai Colonna di Roma, e può approfondire
gli studi nella loro biblioteca; è ambizioso e amante dei riconoscimenti (ottiene
la nomina a poeta laureato, cioè a sommo poeta, con cerimonia ufficiale a Roma).
La storia di Petrarca è legata a Laura, la donna amata. Si dice che conosca
Laura per la prima volta il Venerdì Santo del 1327, nella chiesa di Santa Chiara
ad Avignone, senza poter più smettere di amarla. Un’ipotesi suggerisce che
Laura non sia mai esistita, e sia una personificazione di laurum (che in latino
significa “alloro”, cioè onori, gloria...).
La caratteristica principale del personaggio Petrarca è, senza dubbio,
l’accidia, ovvero la consapevolezza di peccare senza avere la volontà di porre
rimedio. I peccati di cui si autoaccusa sono:
– troppo desiderio di riconoscimenti e onore;
– amore morboso per Laura.
Petrarca è anche uomo del dubbio e delle ambiguità di scelta (mentre Dante
ha certezze): a momenti di desiderio di mondanità e lusso alterna momenti di
isolamento totale per rifugiarsi in Francia.
La produzione di Petrarca è in volgare e in latino classico. L’Africa è la
storia di Scipione l’Africano. Il Secretum (Il Segreto) è ispirato allo studio di
Sant’Agostino, mentre l’opera più famosa resta il Canzoniere.
Secretum
Il “segreto” sarebbe quello del cuore di Petrarca. L’autore immagina di avere
un incontro con Sant’Agostino, che ha affascinato Petrarca per Le confessioni,
l’opera in cui il santo rivela il suo dramma e i suoi dubbi di cristiano, di
uomo peccaminoso poi convertito (e santificato) che si confessa. Il dubbio di
Sant’Agostino è assimilabile a quello petrarchesco.
Il faccia a faccia con Sant’Agostino è svolto alla presenza di una donna,
personificazione della Verità; Petrarca deve rispondere alle accuse del santo.
Nel III libro gli sono comunicati i suoi difetti più grandi:
– l’accidia;
– l’amore per Laura e per la gloria.
Quando Sant’Agostino gli chiede di pentirsi, Petrarca sa che non lo farà
mai, poiché può rinunciare alla gloria ma non a Laura, e per di più non sa combattere
l’accidia.
Canzoniere
Il Canzoniere raccoglie 366 componimenti in tutte le forme metriche. Si tratta di versi della giovinezza.
La costruzione è ideale per sfumare la realtà: i particolari compongono
un’immagine indefinita di Laura.
Petrarca non crede nelle proprie opere in volgare, che considera “bazzecole”,
al contrario del suo latino che avrebbe dovuto dargli gloria postera.
Nel 1348 muore Laura; Petrarca compone così delle rime in morte che, assieme
alle precedenti rime in vita, formano il Canzoniere. Si ha anzi una netta
divisione tra i due gruppi di versi. Nelle rime in morte il poeta rimarca come il
mondo sia diventato scolorito e squallido, pur rimanendo la passione; sente ora
maggiormente il peso del peccato e una conseguente ricerca di purificazione (aspirando
alla pace prega la Vergine). Nonostante questo, al centro dell’opera
c’è Petrarca: Laura è solo la causa scatenante dei sentimenti del poeta, e a causa
dei quali egli è portato a scrivere.
Giovanni Boccaccio (1313 – 1375)
Come il coetaneo e amico Petrarca, Giovanni Boccaccio è un anticipatore delle caratteristiche proprie dell’Umanesimo. Figlio di un mercante toscano, socio dei banchieri Bardi, studia mercatura ma manifesta interessi letterari. Vive per dieci anni a Napoli, grande città con un grande mercato, un porto, una corte (quella angioina) elegante e raffinata: frequenta tanti ambienti diversi e vive varie esperienze, amando in particolare la vita di corte. Una volta che falliscono i Bardi, la stessa sorte accade al padre e Boccaccio deve tornare a Firenze. Nel contempo aveva studiato la letteratura, il greco, i classici latini. Nel 1348 la peste colpisce Firenze. Questo è lo spunto per la stesura del Decamerone. Nostalgico della vita e degli ideali cortesi, verso la fine della sua vita Boccaccio
vuole distruggere la sua opera principale, ma il tentativo è fermato da Petrarca. Tra le tre corone, come sono denominati Dante, Petrarca e lui stesso, è
l’unico scrittore laico, non più subordinato alla religione: la sua interpretazione dell’uomo e della realtà è razionale. L’uomo è concepito con le sue caratteristiche (pregi e difetti), non col ruolo; per questo, il Decamerone sarà messo all’Indice dei Libri Proibiti. L’amore è visto sotto tutti i punti di vista, non solo con la concezione stilnovista: è mercenario, oppure strumentalizzato, talvolta persino erotico (tanto che Boccaccio è stato definito “osceno”). Nonostante ciò, non usa malizia, non insiste su particolari crudi, né c’è una grossolanità nei fatti osceni: è distaccato con equilibrio, usando abilmente l’ironia. Principalmente, però, l’amore è una forza della Natura, sana e positiva, che deve essere regolata dalla Ragione; mentre nel Medioevo è mistico e ascetico, l’amore rinascimentale sarà sempre più laico e naturalistico. Inoltre:
– è fonte di ingentilimento;
– innalza le persone di umile condizione;
– stimola l’industriarsi;
– dà origine alla commedia dei sensi.
L’intelligenza per Boccaccio è furbizia, capacità di “gabbare” il prossimo, sapersi sempre arrangiare e industriare (darsi da fare). Tutto ciò crea sempre situazioni interessanti su cui indagare. L’uomo è autore del proprio destino; la sua storia è guidata dall’esperienza e dalla fortuna. Il caso (cioè la fortuna)
domina il 50% della vita umana, però l’uomo (con l’intelligenza) può arginare il caso negativo e sfruttare quello positivo. Decamerone Significa “dieci giorni”, infatti è la storia di cento novelle inventate in dieci giorni da dieci ragazzi, isolati nella campagna fiorentina a causa della peste. L’opera è dedicata alle donne, perché sottomesse da padri, fratelli, mariti; dovrebbe servire ad allietare la giornata femminile. Poiché la cultura di una donna è inferiore a quella maschile, lo stile è “minore” rispetto a quello aulico, e la lingua è volgare. Ogni giornata che passa, un re (o regina) sceglie il tema delle novelle del giorno. La novella, ciascuna delle quali rappresenta l’uomo in un diverso contesto sociale, si addice alla struttura del Decamerone: con un linguaggio realistico si ottiene una descrizione precisa di ciò che si vuole, adeguata al personaggio da rappresentare. Le sette ragazze sono:
1) Fiammetta (donna amata da Boccaccio, forse figlia illegittima del re di Napoli);
2) Lauretta (omaggio a Petrarca);
3) Emilia;
4) Pampinea;
5) Elissa (la Didone di Virgilio);
6) Filomena;
7) Neifile,
mentre gli uomini sono:
8) Panfilo;
9) Filostrato;
10) Dioneo (allude a Venere, figlia di Dione).
La cornice della vicenda (la peste, l’isolamento, la scelta di re e regine, la decisione del tema delle novelle) è il “tessuto connettivo” che tiene unito tutto,
formando coesione tra le novelle e conferendo unità all’opera.
Umanesimo
Si intende con Umanesimo la rivalutazione dello studio della produzione classica greca e latina (studia humanitatis) e la ricerca dei testi antichi (humanae litterae) in giro per l’Europa. L’Umanesimo non è ateo e materialista, ma ridimensiona la concezione dell’intervento di Dio nella vita dell’uomo (che diventa
artefice del suo destino).
Il nesso con i letterati precedenti è costituito da Petrarca e Boccaccio. Sono loro a iniziare l’analisi dei testi classici latini e ad essere cultori del latino
classico. Petrarca è il padre della filologia, che ora diventa una vera e propria scienza.
Si sviluppa una nuova figura di intellettuale legato alla corte, alla quale dà lustro in cambio di riconoscimenti ed onori.
Per dare lavoro a questi artisti nascono nuovi luoghi di cultura. Nelle accademie si incontrano gli intellettuali per liberi “convivi” per confrontare le
proprie opinioni (verranno poi riconosciute ufficialmente come istituzioni culturali). I teatri sono invece luoghi di rappresentazione di commedie, tragedie e
simili; talvolta, anche la corte è dotata del proprio teatro.
Pico della Mirandola – Lorenzo de’ Medici
Giovanni Pico della Mirandola (1463 – 1494), conte modenese, è filosofo e letterato, nella sua pur breve vita. È ricordato per la memoria prodigiosa.
È autore di La dignità dell’uomo, orazione prettamente umanistica che racchiude una buona parte del pensiero di Pico. Secondo l’autore, l’uomo è creato
da Dio in una posizione di superiorità “somma”, come un essere perfettibile.
Sulla Terra deteriorabile, l’uomo è l’unico essere in grado di capire la grandezza dell’Universo. Poiché, alla sua creazione, tutti i luoghi della Terra erano occupati, all’uomo fu concesso in comune tutto ciò che già c’era; inoltre l’uomo èun essere indefinito, con la libertà (non accordata ad altre creature) di plasmarsi a suo piacimento. Questa è una delle più grandi possibilità dell’uomo, che gli conferisce dignità.
Garante della politica dell’equilibrio, “ago della bilancia” italiano, Lorenzo de’ Medici (1449 – 1492) è detto il Magnifico non solo per l’abilità politica
e diplomatica, ma anche per il mecenatismo e la rara cultura. È, infatti, un intellettuale raffinato, studioso del mondo classico (soprattutto nel corso dei suoi ritiri in meditazione). Scrive di storia e politica, di cui si occupa, ma non disprezza i generi impegnati. Spesso è ricordato per le opere del genere comico-burlesco, come il Trionfo di Bacco e Arianna. Si tratta di un canto carnascialesco, cioè proprio del periodo trasgressivo del Carnevale, precedente la Pasqua; il patrimonio culturale della trasgressione
appartiene a tutti i popoli. Il canto è un inno alla giovinezza che, tuttavia, fugge; il poema è un susseguirsi di figure mitologiche, rappresentazioni dell’amore e della felicità, con un ritmo e una musicalità adatti alla festa cui la poesia è dedicata.
Ludovico Ariosto (1474 – 1533)
Ludovico Ariosto è collocabile tra Umanesimo e Rinascimento. Si tratta di un esempio d’intellettuale cortigiano anche se non per libera scelta ma per necessità.
Reggio Emilia, sua patria, si trovava sotto la signoria degli Este di Ferrara;
suo padre è funzionario del duca d’Este. Nonostante fosse destinato agli studi di
diritto (per fare carriera giuridica a corte), amava lo studio del mondo classico,
del latino, della poesia, della scrittura.
Nel 1500 il padre muore e, essendo il maggiore di 10 fratelli, ne deve fare
le veci, garantendo la dote alle sorelle. Per finanziarsi, va a servizio come segretario
presso il cardinale Ippolito d’Este, controvoglia. Diventa così uomo di
corte, ma scopre tutte le difficoltà di quel mondo. Parla malissimo del trattamento
che gli riserva il cardinale: gli deve far da cameriere, lo deve vestire, deve accudire i cavalli.
In seguito viene usato come ambasciatore presso Giulio II (il papa battagliero)
da Alfonso d’Este; peccato che il papa trattasse malissimo gli ambasciatori,
cosicché in Ludovico è costante la paura per le rappresaglie del pontefice.
Ariosto è, infatti, un uomo mite e amante della vita semplice, tollerante e moderato,
amante della vita sedentaria, libera, contemplativa, di studio, e che tra
l’altro odiava le imposizioni e le prepotenze.
Nelle Satire (7 lettere ad amici e parenti in forma di poesia) descrive la vita che desidererebbe, e che invece il destino non gli permette di fare.
Ariosto, in effetti, detesta il cardinale, il duca Alfonso, la vita di corte, ma
vi è costretto. Per sostenere la famiglia prende gli ordini minori: in questo modo
non può costruire la famiglia con la quale avrebbe voluto vivere tranquillo.
Infatti non ama viaggiare (si definisce pigro), ma è costretto dalla sua attività di
ambasciatore. Quando si stabilisce, però, scrive il suo poema, l’Orlando furioso,
che lo rende immortale e noto a tutti.
Orlando furioso
Definito “poema di una vita” perché scritto in oltre 20 anni con continue
rivisitazioni del poeta, l’Orlando furioso è un poema epico-cavalleresco, perché
basato su guerre e su imprese cavalleresche e amor cortese. Si tratta del capolavoro
di Ariosto, che si basa sui cicli bretone e carolingio e sull’unione delle loro
caratteristiche:
– ciclo bretone: Carlo Magno e i suoi paladini (Orlando, Rinaldo); scontro
con gli arabi (“mori d’Africa”);
– ciclo carolingio: amore, magia, maghi ed elementi soprannaturali.
Nel 1400 c’era già stato un recupero di questi cicli con la stesura di poemi,
che venivano poi letti durante feste e serate a corte. Il Pulci compose il poema
Morgante, mentre l’Orlando innamorato di Boiardo è la base di partenza di
Ariosto.
La vicenda di Orlando, infatti, riprende dal punto d’interruzione del racconto
di Boiardo. Orlando da “innamorato” diventa “furioso” per amore e gelosia
nei confronti di Angelica (innamorata di Medoro), attraverso una trama difficile,
composta dall’intreccio di più storie che si intersecano di modo che,
quando una sta per finire, ne comincia un’altra e si rimanda la fine a dopo (come
in una giostra); manca la linearità del racconto. I 3 nuclei sui quali si basa
la vicenda sono:
– Carlo Magno contro i mori d’Africa, con sconfitta dei mori;
– Orlando e Rinaldo si contendono Angelica (amore platonico);
– ricerca di Angelica scappata con Medoro in Catai.
La vicenda termina con un duello tra mori e cristiani, con i tre migliori cavalieri
di ogni schieramento e la vittoria finale dei cristiani, dopo che Orlando
ha potuto recuperare il suo senno.
Niccolò Machiavelli (1469 – 1527)
Il migliore interprete della prima metà del Cinquecento è Niccolò Machiavelli,
ideatore della scienza politica: si intende la politica in senso laico e razionale,
in maniera sganciata dalla morale (come ad esempio secondo Dante).
Cambia, quindi, la concezione politica: da bene-male si passa a utile-inutile.
L’uomo, vivendo in situazioni relative e non assolute, deve analizzare i fatti in
rapporto al contesto specifico.
Cultore della storia antica, interessato alla politica e alla società in cui vive,
Machiavelli compie un’attenta indagine storico-realistica del suo periodo
secondo lui è, confrontato con altri periodi storici, quello con la massima
espressione di negatività.
La migliore espressione è la repubblica romana antica, perché, al contrario
del suo tempo (segnato da uomini egoisti, cattivi, assetati di potere, incapaci
di governare):
1. aveva leggi e ne pretendeva il rispetto;
2. prevedeva un esercito forte con regole precise;
3. la religione era utilizzata solo a livello civile;
4. non esisteva il concetto di virtù cristiane;
5. un’azione è giudicata buona/cattiva solo se è utile/inutile nel contesto, o
per il bene pubblico.
Contemporaneamente, solo la Francia di Luigi XII sembra funzionare, al
contrario dell’Italia:
· è presente un re, che gode della fiducia del popolo;
· la carica reale è ereditaria: le successioni politiche avvengono senza
vuoti di potere o scontri tra fazioni;
· esistono un esercito nazionale e dei confini nazionali definiti.
A proposito della politica del proprio tempo, Machiavelli è autore di un
manuale di politica applicata, Il Principe.
Secondo Machiavelli, la vita dell’uomo è governata per metà dalla fortuna
(positiva o negativa) e per l’altra metà dalle capacità dell’uomo.
Il Principe
Si tratta di un manuale in 25 capitoli per insegnare ai principi a governare
e comandare. Il motivo per il quale scrive tale opera è da ricercare nel periodo
che l’autore vive: è testimone di una politica contemporanea catastrofica (prima
è segretario dei Medici a Firenze, poi è entusiasta di Savonarola e della cacciata
dei Medici, quindi è esiliato al ritorno dei Medici), di papa Alessandro VI e del
figlio Cesare Borgia, della fine della politica dell’equilibrio.
L’idea di Machiavelli è che gli uomini sono naturalmente cattivi: dimenticano
prima la morte del padre che la perdita del patrimonio. Il principe deve
sapere come fronteggiare gli attacchi, basandosi sul principio del “prevenire un
tradimento e azioni negative che si possono subire”; non deve avere caratteristiche
morali, ma intelligenza e furbizia.
Per scrivere un manuale, Machiavelli deve eliminare le idee assolute di
governo, utilizzando un metodo scientifico: prima esamina il momento preciso,
determinando una verità effettuale; quindi decide l’applicazione, attraverso
l’esercizio delle virtù (non morali) quali intelligenza, astuzia, forza (“il principe
deve essere volpe e leone”), a seconda della situazione e ricordando che “prevenire
è meglio che curare”.
Dopo i capitoli di insegnamento, Machiavelli inserisce un inno alla liberazione
dell’Italia dai barbari: è la speranza del ritorno ad un governo giusto e libero,
quasi una preparazione alla formazione della repubblica.
La storia è maestra di vita: insegna e aiuta. Il principe deve conoscere la
storia antica, e non ripetere gli stessi errori; deve anche cercare di imitare i
grandi personaggi (in particolare Teseo, Romolo, Mosè, Ciro), pur sapendo di
non poter fare come loro. “Come l’arciere, deve regolare potenza e gittata di
braccio e arco, per raggiungere un bersaglio molto lontano”. Il principe deve
sapere sfruttare l’occasione: bisogna saper capire quando si presenta quella giusta
per agire, in un momento favorevole o sfavorevole, e attuare le decisioni
opportune.
Il Seicento e il Barocco
La situazione europea nel Seicento è variegata.
In Inghilterra avvengono ben due rivoluzioni: prima è instaurata una repubblica
(con la decapitazione del re), quindi è ripristinata la monarchia in
forma parlamentare: qui si sviluppa il pensiero liberale.
In Francia domina, in maniera assoluta, Luigi XIV.
L’Olanda è all’avanguardia per la libertà di pensiero.
Il meridione d’Europa è abbastanza arretrato: l’Italia è dominata dalla Spagna
e dalla Controriforma.
In Italia, l’intellettuale:
1) non guarda in faccia la realtà, evita tutti i problemi della censura della
Controriforma e delle delazioni (dovute alle spie); a Venezia esiste un apposito
ufficio per delazioni, con tutte le conseguenti indagini e condanne;
2) deve sottostare alle rigide normative della Controriforma.
La “rifeudalizzazione” dell’Italia porta a degrado pubblico, economico,
culturale su tutta la penisola. Ciò provoca una perdita di importanza nel Mar
Mediterraneo, oltre ad una stasi interna provocata dalla pressante burocrazia
spagnola, che blocca l’economia, sempre più chiusa. Al Sud va ricreandosi il sistema
di grandi latifondi, in mano a grandi famiglie.
Lo sviluppo culturale è diversificato a zone: Venezia e Padova sono a buon
livello, la Toscana perde il predominio. Si sviluppano accademie, luoghi di riunione
fondati da intellettuali per approfondire una determinata materia: sono frequentate solo da esperti e professionisti, quindi non si tratta di cultura popolare e divulgativa. Accademie sono fondate non solo in Italia (dove operano quelle della Crusca e dei Georgofili a Firenze, e dei Lincei a Roma), ma anche a Parigi e in Inghilterra.
Lo stile dominante di questo periodo è il barocco, che coinvolge una nuova
visione del mondo espressa sotto tutte le visioni artistiche.
Si punta sulla meraviglia per non soffermarsi sul problema sociale e politico
del tempo: la Controriforma. Il letterato, per non essere censurato, tratta
contenuti di evasione, di tutti i giorni, inutili; non ci sono insegnamenti, ma esaltazioni
abilissime. La donna ora è anche di “razza” differente, nella quotidianità,
a rapporto con oggetti quotidiani, ad esempio con pettini, addirittura
con pidocchi, o con l’orologio: un nuovo strumento che fa capire che il tempo
passa, simbolo della caducità della vita.
Non potendo esprimere contenuti, chi scrive dimostra una grande capacità
nell’utilizzo delle figure retoriche, mentre le opere diventano esercizi di capacità
tecnica.
Galileo Galilei (1564 – 1642)
Oltre che scienziato e filosofo, dimostratore della validità del sistema copernicano,
Galileo è anche uno scrittore barocco; utilizza la scrittura anche per
dare maggiore rilevanza ai suoi studi e alle sue scoperte. Si fida, infatti,
dell’intelligenza umana per diffondere le sue idee, conscio che saranno capite:
oltre a una certa ingenuità, pagherà con l’accusa di eresia e il ritiro dei suoi
scritti dalle stamperie.
Galileo considera il mondo come un grande libro aperto, da leggere con un
alfabeto matematico-geometrico. Difende i diritti religiosi, purché restino separati
dalla scienza, che non può essere basata sulla carta (cioè sui Testi Sacri,
come vorrebbe la Chiesa).
L’opera più importante è il Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo, trattato filosofico-scientifico in cui disquisisce a proposito dei sistemi
eliocentrico (di Copernico) e geocentrico (di Tolomeo), criticando l’arroganza
della Chiesa che pretende di essere infallibile nel determinare la geocentricità
dell’Universo.
Il saggiatore
Ne Il saggiatore (il saggiatore è un bilancino di precisione, per orafo),
opera scientifico-filosofica, due personaggi conversano su temi scientifici.
Uno dei punti più importanti è la Favola dei suoni, dimostrazione che la
scienza non si deve fermare alle sue scoperte, altrimenti il mondo si fermerebbe.
Il protagonista studia il canto degli uccelli, attirato da un suono simile; in
realtà è un pastore con uno zufolo, strumento a lui sconosciuto. Ricercando altre
forme di emissione del suono, scova un suonatore di violino, i cardini cigolanti
di un tempio, un suonatore di bicchieri: capisce che il suono si crea in tante
maniere diverse. Quando, però, ascolta una cicala, non riesce a determinare
un metodo di riprodurlo: la conclusione è che, pur conoscendo tanti metodi, ne
esistono sicuramente tantissimi altri a lui sconosciuti, e usando curiosità e meraviglia
potrà scoprire infinite altre cose.
Caratteri generali del Settecento Illuminista
Si sviluppa nel Settecento, inizialmente in Francia, il concetto di civiltà
governata dalla luce dell’intelligenza. Questa “luce” deve illuminare le menti
dei regnanti per portare progresso e prosperità; perciò questa età è detta
dell’Illuminismo. Le radici sono in Copernico, Galileo, Bacone, Newton; nel
dubbio metodico, nel razionalismo cartesiano.
Si fa un’analisi critica del passato, studiando la storia per capire gli errori
da non ripetere; c’è ottimismo verso il proprio operato, allo scopo di abbattere i
“mali sociali”, e apertura verso qualunque civiltà, senza distinzioni.
Lo sviluppo illuministico si ha soprattutto nella prima metà del secolo. Attenuandosi
la paura dell’Inquisizione, nasce un nuovo modo di intendere la figura
dell’intellettuale: ora la sua opera ha funzione divulgativa e di miglioramento
della società. Si sviluppa la filosofia e tutta una serie di nuovi prodotti
letterari: dall’Inghilterra arrivano romanzi (soprattutto di viaggi), giornali, opuscoli.
L’opera illuminista contribuisce a creare una mentalità aperta nei confronti
dell’uomo e della società.
La rinascita culturale è paragonabile a quelle dell’Umanesimo e del Rinascimento,
dopo l’oscurantismo della Controriforma. La libera circolazione delle
idee contribuisce allo sviluppo scientifico, mentre l’uomo è sempre più cittadino
del mondo, sostenuto dalla Ragione che porta a risolvere ogni problema ed è
fonte di ottimismo. Si rifiutano le religioni tradizionali rivelate: deve esserci un
convincimento razionale (deismo).
L’economia diventa importantissima, grazie anche alla colonizzazione e
all’operato delle compagnie orientali. Si comincia a studiare l’economia politica,
nascono le prime teorie economiche grazie a nuove figure intellettuali, gli
economisti. La letteratura diventa veicolo di diffusione scientifica e filosofica.
Carlo Goldoni (1707 – 1793)
Le opere teatrali di Carlo Goldoni sono rappresentate ancora oggi a teatro,
in qualità di autore della rivoluzione (o riforma) del teatro.
Veneziano, nonostante trascorra grande parte della propria vita in Francia,
non è un saltimbanco: è uno studioso, laureato in Legge, uno spirito curioso
della vita e avventuroso. La vocazione teatrale lo guida a creare una propria
compagnia per girare il mondo, conoscere le diverse tipologie di persone per
poi rappresentarle. Riesce anche a fare del teatro un business, diventa un lavoro;
studia le opere in base alle esigenze del pubblico della zona in cui rappresenta.
La riforma riguarda la commedia, in contrasto coi canoni della commedia
dell’arte, contro la volgarità smaccata da buffoni: la rappresentazione è più
contenuta, e raffinata (dovendo rispettarne il testo), e punta sull’uso dell’ironia
(cioè nella critica, senza scadere nell’offesa).
Il punto di partenza è il realismo. Serve creare personaggi verosimili con
problemi reali, in cui il pubblico si possa identificare. Tollera l’uso di alcune
maschere (nonostante modifichino la realtà), di solito figure di servi: Arlecchino,
l’astuzia tontolona, e Brighella, l’astuzia intelligente. Il contesto è quello
borghese-mercantile, spesso riprendendo direttamente le zone di Venezia e
Chioggia (per es. in Le baruffe chiozzote, nei quali parla dei litigi tra le donne
di Chioggia). E poi dà una importanza notevole alla donna, come nella Locandiera:
una donna della media borghesia, che gestisce una locanda.
Nella sua pianificazione, Goldoni è attento al pubblico e conscio che va
portato a teatro; lui stesso ne costruisce uno, e ogni città si dota di un teatro.
Dalla volgarità iniziale, il pubblico si raffina e comincia a progredire.
La mossa decisiva della riforma goldoniana è il rifiuto
dell’improvvisazione, con l’introduzione del copione. Fare l’attore diventa un
mestiere difficile, bisogna studiare la propria parte: nulla sarà più come prima.
Giuseppe Parini (1729 – 1799)
Giuseppe Parini è definibile come primo poeta italiano con intendimento
civile e politico in Italia, dopo Dante Alighieri.
Nato a Milano quasi povero, Parini rischia di non poter finire gli studi, per
i quali è veramente portato. Ottiene un’eredità da una zia, ma solo a costo che
Giuseppe si ordini prete: e così è. Parini diventa, oltre che prete, gran studioso
e uomo di cultura, ma l’eredità non gli consentiva di compiere la vita agiata cui
ambiva. Deve lavorare, per cui diventa precettore della nobile famiglia Serbelloni.
Vivendo con loro ogni giorno per anni, impara a conoscere tutte le caratteristiche,
positive e negative, della classe aristocratica. Quando, un giorno, il padrone
di casa schiaffeggia il maestro di musica dei figli, si apre un aperto contrasto
tra Parini e la famiglia, che porta il poeta a partire.
Scrive un Trattato sulla poesia, seguendo il sensismo (“tutto è materia”).
La poesia, per Parini, ha un valore civile, ma deve colpire i sensi e divertire: la
satira è lo strumento migliore, perché immediatamente provoca il riso, e dopo
una reazione costruttiva.
L’impegno civile di Parini lo porta ad assumere incarichi sociali e politici
Le Odi
Parini compone diverse odi, basate sul modello di Orazio
Il Giorno
L’esperienza di Parini dà l’idea per la sua opera più famosa. In essa il poeta
descrive la giornata di un giovane nobile, dal risveglio alla notte, con
l’obiettivo finale di evidenziare l’inutilità di una vita così condotta.
Il racconto della Vergine cuccia è, uno spaccato dell’ipocrisia umana.
Dopo aver sottolineato come l’uomo sia talvolta vegetariano, per pietà
verso gli animali, Parini ricorda un episodio in cui la cagnetta della padrona,
dopo aver morso il piede di un servo, era da questi stata calciata via; il cane
chiede aiuto alla padrona, che sviene per il dolore. Il servo, alla fine, è cacciato
(con tutta la famiglia) e mai più assunto da alcun padrone, in memoria del “misfatto”
da lui commesso. In tal caso è palese la differenza tra il valore di un animale
e quello di una persona, immensamente meno importante.